DiCinema: la nuova Hollywood
Ci sono attori "evergreen" che non vogliono abbandonare mai la loro alchimia data da ruoli scelti in base a una innata predisposizione a essere il volto acqua e sapone che non può nuocere a chi, nel complicato riflesso del culto della sceneggiatura e del soggetto, preferisce eroi puri e ingenui, incapaci di quell’ambiguità negativa che non riesce a definire il calibro di novelle elaborate da quella inflessione soft-dark che riesce solo a umanizzare storie e personaggi irreali, devoti alla macchina promozionale del Cinema.
Sono gli antidivi per eccellenza, nati per miscelare il privato indebolito da contrasti generazionali rifugiati in debolezze filtrate dalla droga e dall’alcool, ma che sanno trovare la propria strada liberandosi di un cliché scomodo, grazie ai personaggi che sanno rappresentare, mantenendo obbligatoriamente quella traccia autobiografica nella scelta dei ruoli che sfiorano nel corso degli anni, stabilendo quel parallelismo tra bisogno emotivo e fuga nel sogno che diventa la terapia di molti degli attori maledetti del nuovo cinema.
John Christopher Depp II (Owensboro, 9 giugno 1963) è il capostipite degli "Street’s actor", atipico nella sua famiglia di gente comune (il padre ingegnere comunale e la madre cameriera), immerso in quel crogiolo emotivo dato in quella famiglia di dodici figli, avuti dal precedente matrimonio della madre, e dalle radici stesse che il giovane Depp si porta appresso, tra ostentata irriverenza in quel sangue Cherokee che si sente appiccicato addosso, quasi a tutelare il suo narcisistico egocentrismo che lo ha indubbiamente aiutato nel diventare quel sex symbol che prevalentemente tende ironicamente a rifiutare.
Un amore prioritario per la musica, che lo ha portato giovanissimo a isolarsi dal perbenismo dato dal rassicurante e ovattato dogma scolastico, per diventare un sedicenne incline alla trasgressione facile, come i rocker sanno esprimere nella loro musica, imparando a vivere senza il bisogno degli affetti più vicini, in una auto Impala del ’67, soprattutto dopo la perdita del nonno e trascinandosi dietro quell’amore musicale impartito dallo zio, pastore in una chiesa in cui aveva imparato l’amore, appena dodicenne, per il gospel e la musica in assoluto.
I primi successi come musicista arrivano con i Kids, secondo gruppo fondato dopo la prima garage band The Flame, guadagnandosi le attenzioni degli stessi Oasis che lo hanno voluto come spalla nell’esecuzione solista nel pezzo "Fade in-out", e le simpatie di musicisti di grosso calibro, vedi i Talkin Heads e lo stesso Iggy Pop, idolo musicale di Johnny Depp. La carriera di attore inizia per caso, sotto consiglio dell’amico Nicolas Cage, nipote di Coppola, che lo ispira a studiare recitazione al Loft Studio di Los Angeles, dopo avergli procurato la sua prima parte in quel ruolo cammeo in Nightmare on Elm Street, che lo ha definitivamente consacrato attore a tempo pieno.
Il successo arriva con la serie televisiva 21 jump street, e nell’arco di tre anni si conquista i favori femminili di una schiera di ammiratrici che facilmente lo consacrano come idolo per Teen-ager. Quella faccia pulita e irriverente, usata nello stesso Cry Baby di John Waters (1990) lo ha rivalutato nell’incontro con il suo pigmalione-alterego Tim Burton, nel primo di una lunga serie di fortunati successi commerciali nel suo più tenero e onirico Edward Mani di forbice, distaccandosi da quel cliché estemporaneo voluto da Oliver Stone nel suo Platoon, ruolo marginale che ha sembrato voler sottolineare un cinema scomodo votato più alla mitizzazione di un tema (la guerra del Vietnam) che ormai non poteva essere più dispensatore di ragioni e torti, più nella ripetitività di ruoli, che nella grossolanità degli eccessi può solo diventare facile fenomeno commerciale, e non di più.
La vera svolta di culto per Johnny Depp arriva con il film di Jeremiah S. Chechic, Benny e Joon del 1993, dove il sottile equilibrio tra fragilità mentale e istrionica mitizzazione del culto cinematografico degli anni del muto, sanno regalare a Depp le prerogative indispensabili per immedesimare l’egocentrica bizzarria del suo personaggio, in una delicata favola moderna che ha saputo miscelare attori di provata capacità, vedi Aidan Quinn, Mary Stuart Masterson, Julianne Moore e Oliver Platt. Stessa sorte per il successivo Buon compleanno mister Grape, dello stesso anno, diretto da Lasse Hallström, che vede replicare le drammatiche inquietudini di una famiglia lacerata dal dolore della diversità, nell’interpretazione misurata di un Leonardo di Caprio inedito nelle vesti del fratello di Depp, con al fianco una inconsueta Juliette Lewis come simbolo di quella libertà desiderata dal protagonista, destinato a subire i disagi di una quotidianità scomoda e infelice. Ma il percorso recitativo di Johnny è stabilito dal sodalizio di un grande del cinema americano, l’attore e amico Marlon Brando, cointerprete di un paio di film che hanno delineato la capacità stessa di Depp nelle vesti anche di regista, vedi Il Coraggioso (1997), ambizioso progetto dell’attore, dove il cocktail stesso dato dalle proprie radici indiane è stato complice di quella metafora di compromesso hollywoodiano che vede soccombere la propria vita privata in nome di quel potere, rappresentato da un granitico e cinico Brando, molto vicino ai fasti di quel padrino che lo aveva precedentemente consacrato tra i "cattivi" più blasonati del cinema. Molto più spensierata, ma allo stesso tempo apice talentuoso del mito del rubacuori più osannato dall’arte, la commedia Don Juan De Marco maestro d’amore, diretta da Jeremy Leven (1995); un riuscitissimo messaggio incentrato nel culto della commedia operistica originale, riveduta dal personaggio interpretato da Depp, un giovane deluso dall’amore, che ripercorre le proprie ansie inseguendo quell’ideale di amore e perfezione in un' unica donna, emulando le imprese erotiche del Don Giovanni, sotto le cure mediche del suo psichiatra (interpretato da Marlon Brando, al fianco di una deliziosa Faye Dunaway non più giovanissima). Altre riuscite incursioni drammatiche di Depp sono vari film, quali Donnie Brasco, diretto da Mike Newell (1997), con al fianco un altro grande del cinema americano, Al Pacino. Una leggera rivisitazione poliziesca sullo sfondo mafioso di un genere alleggerito più dall’annientamento di una inutile violenza rappresentata dal giovane attore, un infiltrato che deve mediare le sorti di una inutile faida sullo sfondo metropolitano di una città che assorbe le caricaturalità intenzionali dei personaggi interpretati dagli attori. Tormentati e caotici rimangono Blow, diretto da Ted Demme (2002) con Penelope Cruz e La vera storia di Jack lo squartatore, diretto a quattro mani da Allen e Albert Hughes nel 2001.
Psichedelico e allucinante è Paura e Delirio a Las Vegas, diretto da Terry Gilliam (1998), l’oscuro La Nona Porta di Roman Polanski (1999) e la commedia drammatica La moglie dell’astronauta, diretta da Rand Ravich (1999), meno pretenziosa del genere proposto, almeno nel risultato ai botteghini, ma sempre in sintonia con il mercato dell’homevideo. Per vedere il ritorno dell’originale Johnny Depp plasmato dal genio di Tim Burton, dobbiamo assistere alle successive metamorfosi proposte nei riuscitissimi Ed Wood (1994) e Il Mistero di Sleepy Hollow (1999), tra parodie noir e atmosfere gotiche che hanno stabilito i più recenti successi de La Sposa Cadavere, a cui Depp ha prestato voce e sembianze, e Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street, primo musical cantato e recitato dall’attore, sempre in coppia con la consolidata Helena Bonham Carter. Piccole incursioni d’autore hanno visto Johnny Depp misurarsi con l’impegno del cinema d’élite, in alcune riuscitissime produzioni. Partiamo da Dead Man, diretto da Jim Jarmusch (1995), un inconsueto bianco e nero musicato dalle graffianti note di una chitarra elettrica d’autore (Neil Young), anticipando il realismo di un genere "vecchia frontiera" riscoperto nel recente L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford. Egregio è Chocolat di Lasse Hallström (2000), abile nel miscelare fotografia e soggetto, con la piacevole interpretazione di Juliette Binoche e, in ultimo, la piacevole rivisitazione del mito di Peter Pan, nel delicato Neverland: un sogno per la vita, diretto da Marc Forster nel 2004. Spettacolare rimane la rivisitazione di un classico, ne La fabbrica di Cioccolato, nelle credibili vesti androgine di un inedito Willy Wonka, sotto le direttive in digitale del collaudato Tim Burton. Un Johnny Depp quasi paternalistico, in armonia con un carattere che deve concretezza alla sfera privata con la nascita dei suoi due figli, avuti dalla cantante e modella francese Vanessa Paradise.
Da non tralasciare, in ultimo, la trilogia firmata Walt Disney, Pirati dei Caraibi, diretta da Gore Verbinski, dal 2003 al 2007. Un capolavoro di effetti speciali e di alta narrativa cinematografica, dove musica e soggetto hanno saputo confermare la capacità istrionica di un Johnny Depp all’altezza di progetti ambiziosi, sempre devoti al bisogno di un cinema che deve continuare a dispensare illusioni sempre più realistiche, dove i sogni sanno compiacere un pubblico di ogni età, riflettendo lo stesso volere di un attore che è capace di ringraziare chi gli permette di essere attore completo (vedi la dedica a Tim Burton), e non un oggetto consumato con disattenzione, per sparire nel limbo di Hollywood; ma per Depp, fortunatamente, il cinema sarà sempre devoto a colui che, con autentica devozione, riesce a diventare anima e corpo di quelle storie che devono essere la porta per entrare nell’intimo di una coscienza morale capace di essere ironia, fantasia e autentico cinema. Tutto questo ringraziando un dodicenne che ha liberato i suoi sogni per diventare l’attore consacrato che è oggi: Johnny Depp.
Filmografia dell'attore: